AVVENIRE DOMENICA 8
SETTEMBRE 2013
«Sanzionare i crimini più gravi senza riaccendere conflitti fratricidi»
l’intervista
L’intellettuale francese non
credente, Julia Kristeva, indica nelle
parole pronunciate da Bergoglio,
«un invito concreto a non mollare,
a negoziare», che «rafforza
il ruolo pacificatore della Chiesa»
DA PARIGI DANIELE ZAPPALÀ
L’iniziativa
del Papa potrebbe condurre le parti a un nuovo tavolo di trattative o almeno a
limitare i danni militari in Siria. Queste parole attese in tutto il mondo,
spero vengano colte come un invito concreto a non
mollare, a negoziare, o almeno a ridurre al massimo i bombardamenti». Convinta
che forti dosi di pragmatismo siano sempre indispensabili contro l'orrore della
guerra, Julia Kristeva non considera la Veglia per la pace di papa Francesco
come un puro atto simbolico. Da non credente, la celebre linguista,
psicanalista e romanziera francese di origine bulgara sottolinea anzi il realismo della giornata per la pace.
Professoressa Kristeva, come ha
accolto l'iniziativa del Papa?
Sono rimasta molto impressionata dalle parole
del Papa, che sono all'altezza della vocazione pacifica della fede cattolica.
Queste parole rafforzano il ruolo pacificatore della Chiesa cattolica nella
globalizzazione. Credo che tutti quelli che desiderano ardentemente una
soluzione politica del conflitto siriano apprezzino che una delle maggiori
autorità spirituali del mondo inviti tutte le confessioni e le sensibilità a
unirsi per una soluzione non militare.
Per i non credenti che hanno risposto
all'appello, si può parlare di una sorta d'accostamento alla preghiera?
Sarebbe
improprio, a mio parere, parlare di una preghiera laica. Le relazioni fra
credenti e non credenti sono molto complesse e
risalgono a un'epoca molto antica. Conviene restare molto prudenti e non
immagino queste occasioni come un abbraccio fraterno fra questi due mondi,
anche se dei momenti di simile gravità conducono a una grande solidarietà
mondiale.
Quali sono i principali ingredienti di questa solidarietà?
Credo che
la base di quest'incontro sia anche molto pragmatica e si fondi innanzitutto
sull'imperativo di ricercare soluzioni concrete al conflitto siriano. Ma mi torna pure in mente la frase del profeta Geremia:
«Pace, pace, mentre pace non c'è». E a queste parole affiancherei volentieri i
versi del favolista La Fontaine, pregnanti nei loro
toni popolari: «Ai malvagi occorre far guerra
continua. La pace è buona in sé, son d'accordo, ma a cosa serve contro nemici
senza fede?». È un po' la situazione in cui ci troviamo e occorre non essere
ingenui. Essere dalla parte della pace può diventare una posizione comoda, se
non s'immaginano i modi d'impedire l'odio e i crimini. La questione centrale
sta dunque nel modo di sanzionare i crimini più gravi senza riaccendere
conflitti fratricidi.
Al momento della scomparsa di Giovanni Paolo II, lei
sottolineò il ruolo del cattolicesimo contro la barbarie. Lo scenario di queste
ore le ispira riflessioni simili?
Non è esattamente la stessa situazione. Con il suo «Non abbiate paura», Giovanni
Paolo II invitava anche a una forma di rivolta e ad arginare la barbarie
totalitaria. Oggi, in Siria, siamo di fronte a diversi volti della barbarie.
Occorre innanzitutto analizzare la situazione ed essere lucidi per trovare il
modo di reagire in questo scenario complesso, senza dimenticare mai che la pace
non è acquiescenza, sottomissione, approvazione. La pace richiede sempre una
forma di rivolta. Per questo citavo La Fontaine.
Occorre denunciare gli uni e gli altri, per di più contando su un'informazione
dal fronte ancora troppo insufficiente e comunque poco chiara.
Dunque, il realismo prima di tutto...
Cerco di cogliere,
nell'appello del Papa, questi due cardini del cattolicesimo: da una parte,
un'esaltazione della pace, ma poi, accanto, la consapevolezza dell'inferno.
L'odio e la guerra richiedono in ogni caso sanzioni ed occorre trovare anche questa volta la misura esatta di queste sanzioni.
Personalmente, non propendo per la guerra e per i bombardamenti come soluzioni
valide, ma comprendo pure l'esigenza di sanzioni ferme e limitate, anche se si
tratta sempre di una strada pericolosa. La nostra tradizione europea ci conduce
a pensare che contro il male occorre pure la fermezza.
Quale aspetto la colpisce di più nella vocazione pacifista del cattolicesimo?
Credo che esista una specificità del cristianesimo e in particolare del
cattolicesimo, soprattutto nella comprensione della fede da parte d'Ignazio di
Loyola. Si tratta di un messaggio di pace che è universale, ma che affronta al
contempo la sfera politica. Rispetto ad altre religioni, il cattolicesimo si
esprime al cospetto dell'arena politica, perché prende sul serio la politica. È
una religione di pace, ma radicata nella storia. Nella storia, occorre piantare
il seme della pace e far crescere poi l'albero. Nel solco di questa tradizione,
il Papa ha di nuovo appena seminato nella storia. Per i cristiani, mi pare pure
una conseguenza diretta dell'Incarnazione.
JULIA KRISTEVA
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