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Chi sarà straniero nell'Europa di domani

JK
Arriva in libreria una nuova edizione del saggio di Julia Kristeva dedicato alla "nostra" identità

Forse da decenni, sicuramente da mezzo anno, una discreta quantità di politici trita e svilisce uno dei temi più nobili della riflessione civile, quello dello «straniero». Prima in Svizzera, a ridosso del voto del 9 febbraio, poi in Italia, Francia e altre nazioni dell'Ue per le urne del 22-25 maggio: c'era da piangere ad ascoltare la pochezza culturale di certi comizi. Per fortuna in questi giorni, in ritardo sugli avvenimenti ma pur sempre benvenuto, esce in edizione accresciuta rispetto a quella italiana del 1990 Stranieri a noi stessi. L'Europa, l'altro, l'identità di Julia Kristeva (Donzelli, pagg. 226, franchi 37).

L'autrice – saggista e psicanalista di lungo corso, collaboratrice di Foucault, Barthes, Derrida, Sollers, discepola di Lacan, nonché «di nazionalità francese, di origine bulgara, d'adozione americana, oggi cittadina europea» – ripercorre la riflessione occidentale sullo straniero, ponendola sotto il segno di tre pregnanti epigrafi: di Baudelaire («Ipocrita lettore, mio pari, mio fratello...»), di Hölderlin («Ma ciò che è proprio deve essere appreso al pari dello straniero») e di Aragon («In un paese straniero nel mio stesso paese...»). Il libro si legge con vivo piacere intellettuale: atmosfera, stile, apertura al nuovo sono ancora quelli della Parigi di Foucault.

Dall'Atene classica (o meglio dalla koinonia, che elaborava l'unità dei cittadini sulla base della loro partecipazione alla vita politica, e non a partire dai criteri razziali o sociali) all'universalismo di San Paolo, tutto da riscoprire, passando da jus soli e jus sanguinis, fino alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo (1789) e al disinvolto cosmopolitismo del nostro tempo, il viaggio della Kristeva è tanto preciso nei riferimenti filologici (come non parlare, in un saggio simile, di Dante, «Alle soglie dell'era moderna, un esiliato...», o del Meursault di Camus) quanto attento a una dimensione ben poco frequentata dai politici: quella filosofica. Verrebbe da dire «geofilosofica», per rubare un titolo a Cacciari.

In più, in questa edizione, c'è un'attualissima introduzione dell'autrice. «Per evitare il rifiuto della politica – scrive la Kristeva – se non la regressione suicida al nazionalismo autistico, si impone la necessità di concepire una profonda mutazione della politica. Quest'ultima è possibile solo a partire dalla vitalità storica rappresentata dalla memoria culturale del nostro continente. Una memoria da cui la politica si è distaccata nel momento in cui si è "specializzata" nella "gestione" – senza averne titolo – del patto sociale».

Per mettersi su questa strada, tuttavia, bisognerebbe avere un certo tipo di coraggio: «Esiste una identità: la mia, la nostra; ma essa può essere costruita all'infinito. Alla domanda "Chi sono io?" la miglior risposta europea non è, con tutta evidenza, la certezza, ma l'amore per il punto interrogativo».

Corriere del Ticino 11.06.2014 - Tommy Cappellini

 

 

 

Julia Kristeva
Stranieri a noi stessi

Donzelli Editore, 2014

SINOSSI
Chi è lo straniero? E soprattutto, cosa significa essere straniero? Si tratta di interrogativi sempre più attuali: la paura, la diffidenza, infatti, sembrano attraversare e scuotere l'Europa, in questo nostro tempo in cui le appartenenze geografiche e identitarie sono sempre più soggette all'incontro con «l'altro», che spesso si trasforma in scontro. Julia Kristeva, in uno dei suoi libri più belli e appassionati, affronta tali domande alla loro radice più profonda. Questo volume è dedicato a chi vive la propria esistenza da straniero, ma anche a tutti coloro che degli stranieri non ne possono più, e infine a chi non può evitare di sentirsi straniero anche a casa propria. È dedicato al dolore, persino all'irritazione che spesso il confronto con l'altro porta con sé. In un percorso che dalle origini arriva sino alla contemporaneità, Julia Kristeva, che da bulgara naturalizzata francese ha vissuto sulla propria pelle l'esperienza di una tale «estraneità», passa in rassegna le principali posizioni assunte dalla cultura occidentale nei confronti dello straniero: i Greci, gli ebrei, san Paolo, Erasmo, Montesquieu, Diderot, Kant, fino a Camus e Nabokov. Al centro di un tale cammino, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo proposta dalla Rivoluzione francese, che comincia onorando gli stranieri, prima di far piombare il Terrore sulle loro teste. Come contrappunto il nazionalismo romantico, che sfocia poi in quello totalitario; per arrivare, infine, all'analisi della celebre teorizzazione freudiana del perturbante, che Kristeva legge come una lezione per imparare a tollerare nello straniero la controfigura dell'estraneo che portiamo in noi. La tesi dell'autrice è radicale: la possibilità di vivere «con gli altri» senza rifiutarli, ma allo stesso tempo senza annullare le differenze, passa attraverso il riconoscimento del nostro essere «stranieri a noi stessi». Rispettare lo straniero nella sua differenza significa riconnettersi al nostro diritto alla singolarità, che è l'ultima conseguenza dei diritti e dei doveri dell'essere umano.

 

 

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